10.10.2019

Nella foresta dell’Amazzonia un’altra umanità cresce a Manaus, senza fare rumore

In occasione del Sinodo dell’Amazzonia, riportiamo un brano scritto da Stefania Falasca e tratto dal libro “Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita” di Lucia Capuzzi e Stefania Falasca (EMI), presentato a Roma lo scorso 7 ottobre.

Nel brano l’autrice racconta il suo impatto con la Escola Agricola Rainha dos Apostolos di Manaus.

Dopo lennesimo rovescio dacqua torrenziale le strade sono di nuovo trasformate in fiumi. La segnaletica stradale indica la BR-174. È questa la trans-amazzonica che porta a Boa Vista? «Justo» risponde Celso. A nord di Manaus, lasfalto entra rettilineo nei vapori della foresta e Celso lo percorre in macchina per quaranta chilometri. Si scende allinsegna di una scuola agraria, davanti a uno stormo di ragazzini indaffarati con un piccolo di bradipo inzuppato dal temporale. Le lezioni per i più piccoli sono terminate, iniziano ora quelle dei più grandi. Sotto la tettoia, passata la pioggia, un via vai di ragazzi si prepara per andare sul campo. Duecento ettari di coltivazioni e allevamenti con tecniche rispettose del complesso ecosistema amazzonico. Una scuola di ecologia integrale per centoventi ragazzi che vivono qui per tutto il tempo dei loro studi e dei quali venticinque sono di diverse etnie indigene. «Vengono dai villaggi del Rio Negro e dagli affluenti del Rio delle Amazzoni, alcuni lontani molti giorni di barca da qui» dice Darlete mentre accompagna il loro andare con lo sguardo. Celso Batista e Darlete de Oliveira dirigono la scuola agricola Maria Rainha dos Apostolos da trentanni, da quando i missionari del Pime, che lavevano fondata, la lasciarono al Centro de Solidariedade São José della parrocchia di cui facevano parte. Sono sposati da 36 anni, hanno quattro figli e questi ragazzi sono la loro famiglia allargata. Negli anni ne hanno tirati su 1500. Celso e Darlete non hanno bisogno di parlare. Per loro parlano questi figli. Questa piantagione variegata venuta su dalle loro braccia di padre e di madre. Parla la faccia di Claudiney Sabino di origini barè, che ringrazia sua madre di averlo portato qui e poi quella di Jeferson, di Emidson, e poi ancora quella di Alzimar da Silva Gomes Barcelos, indio barè che ha uno sguardo fiero e vuole andare alluniversità. Ha ventanni, come Joilton de Freiras da Silva, anche lui deciso ad iscriversi alluniversità. Joilton è sateré-mawé, etnia che vive lungo gli affluenti del Rio delle Amazzoni a sud di Parintins, lontana quattrocento chilometri. È nato in un piccolo villaggio lungo il rio Andirà. Quando racconta la sua storia sillumina parlando della sua terra e della scuola nella foresta frequentata da bambino. E dove vuole tornare, finiti gli studi, per aiutare la sua gente. È questo il rovescio di unaltra invisibilità. Quella dei germogli della foresta di unaltra umanità che cresce anche a Manaus, senza fare rumore. Ma che è destinata a rigenerarsi con radici profonde. 

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