22.05.2023

«Usciremo dall’alluvione grazie agli amici. Casa Novella è fatta di carne, non di mattoni»

La prima piena, poi l’ordine di evacuare mamme e ragazzi accolti nell’opera di Castel Bolognese. «Ripartiremo ancora una volta dal bisogno di chi ci è stato affidato. Lo dobbiamo a un popolo che da tutta Italia ci sta offrendo braccia, aiuti, compagnia»

Da Tempi 20/05/2023 di Caterina Giojelli

Si trattava di entrare nella casa d’accoglienza fradicia e gonfia fin dalle fondamenta col piede giusto, anche se il fango fuori dalla porta arrivava alle ginocchia e l’acqua in cantina lambiva il soffitto: «Castel Bolognese sprofondava nel Senio e una fiumana di amici ci inondava di offerte di aiuto per mettere in salvo la nostra opera. Del resto Novella la chiamava così, “una casa di carne, non di mattoni”», ricorda a Tempi Francesco Biondini poco dopo essersi avventurato oltre quel dedalo melmoso di strade che porta alle case di accoglienza san Giuseppe e santa Rita e alla casa La Pietra.

A dirla tutta all’inizio il presidente della Cooperativa Sociale Educare Insieme – che gestisce le realtà educative e di accoglienza di minori e mamme in difficoltà tra Castel Bolognese, Lugo e Faenza nate dalla testimonianza di Novella e Giuliano Scardovi – sperava in un eccesso di zelo da parte del Comune: «Lunedì scorso ci hanno chiesto di evacuare la zona. Nulla di strano: la prima piena, all’inizio di maggio, quella che avrebbero ribattezzato “la piena secolare” senza immaginare cosa sarebbe arrivato dopo, aveva allagato il giardino, il cortile, il centro educativo diurno (il Fienile, ndr) ma nessuno aveva abbandonato Casa Novella».

Era andata liscia: armati di altoparlanti i vigili del fuoco avevano invitato la gente di quel piccolo fazzoletto di Castel Bolognese a raggiungere luoghi più sicuri, ma era l’una di notte, spostare i ragazzi in difficoltà psicologica come i loro era fuori discussione. La brava Adele Tellarini, direttrice di Casa Novella, aveva dunque vegliato su mamme, ragazzi e bambini fino al mattino, e poi durante la pioggia e la piena, finché il cielo si era aperto e dal vialetto d’ingresso erano sbucati decine di amici e volontari con secchi, vanghe, pompe e spazzoloni. «Lavorammo per ore per mettere in sicurezza le nostre strutture, anche se le case erano vivaddio rimaste all’asciutto. Le scuole erano aperte, le strade agibili. Mamme e ragazzi stessi avevano partecipato ripulendo fino all’ultimo giocattolo. Eravamo ancora grati e commossi pur con i piedi a mollo nel fango quando il Comune diramò l’ordine di abbandonare le case. Ci aspettavamo un po’ di allarme, non certo di finire sott’acqua».

(Continua)